Il proprietario del terreno illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l’annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare in giudizio sia il risarcimento del danno, sia la restituzione del terreno, previa la sua riduzione in pristino.
Il Consiglio di Stato ha più volte ribadito (sez. IV: 30 gennaio 2006, n. 290; 7 aprile 2010, n. 1983) che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, in quanto deve ritenersi superata (e non più ammessa dall’ordinamento) l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica e all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato illegittimamente ablato. In base alla sopravvenuta giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza Cedu 30 maggio 2000, ric. 31524/96). In tale ultima decisione i giudici di Strasburgo hanno infatti ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità – occupazione acquisitiva o usurpativa – di acquisizione del terreno. Per tali ragioni, il proprietario del terreno illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l’annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare in giudizio sia il risarcimento del danno, sia la restituzione del terreno, previa la sua riduzione in pristino. La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell’amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in fatti o comportamenti materiali (Cons. Stato, sez. IV: 29 agosto 2012, n. 4650; 27 gennaio 2012, n. 427). Peraltro, l’azione restitutoria, essendo posta a riparazione di un illecito permanente (i.e., l’occupazione sine titulo; cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6012), è imprescrittibile e può essere proposta senza limiti di tempo (salvi gli effetti della usucapione); in particolare, detta azione non soggiace al termine decadenziale di 120 giorni previsto dall’art. 30, comma 3, del Codice per il processo amministrativo. Infatti, l’art. 30, comma 3, del Codice riguarda la domanda di risarcimento per lesioni di interessi legittimi, mentre nel caso in esame – con l’annullamento degli atti di natura ablatoria, su cui si è già formato il giudicato – gli interessati hanno chiesto la tutela del loro diritto di proprietà, attualmente ancora leso dal possesso altrui (da qualificare sine titulo).
(Consiglio di Stato, Sez. VI, 10.5.2013, n. 2559)
fonte: Studio Legale Bisconti Merendino